Ormai nessuno si stupisce più, né del ‘suicidio’ di Epstein, né tantomeno nell’ennesima conferma della parzialità e della partigianeria non solo politica del gigante delle ricerche online Google (e di tutto il mondo social e non social che i cosiddetti Big Tech californiani dominano con il loro monopolio assoluto).
Che i risultati delle ricerche su Google siano pilotati lo sanno tutti gli addetti ai lavori, dai cosiddetti ‘publishers’ e cioè i proprietari di siti web e magazines online, agli esperti di SEO, l’ottimizzazione dei siti perchè ottengano un buon piazzamento sui motori di ricerca. Ai politici.
Il luttuoso evento (un vero e proprio lutto, con tanto di funzioni pubbliche e pianti di gruppo, non sto scherzando) che ha colpito Google e i social più importanti nel 2016, quando nonostante i loro sforzi le urne hanno decretato la vittoria di Donald Trump (se cercate online trovate video di dirigenti di Google in lacrime che giurano in pubblico che la ‘cosa’ non si ripeterà. La ‘cosa’ è la rielezione di Trump nel 2020) non deve ripetersi.
Come non si ripeterà? Semplice, raffinando ancora di più gli algoritmi, e chiudendo ai conservatori (americani in questo caso ma è ovvio che questo si applica e si applicherà a qualsiasi elezione in tutto il pianeta, a meno che Google e social vari non vengano smembrati e riportati a dimensioni più facilmente controllabili) la possibilità di raggiungere il grande pubblico attraverso i canali internet. I canali internet sono (purtroppo) ormai determinanti nell’elezione di un qualsiasi candidato.
Poche settimane orsono la candidata (alle pre-selezioni per la presidenza degli Stati Uniti) Tulsi Gabbard, democratica ma non gradita ai colossi della Silicon Valley perché ritenuta non abbastanza ‘socialista’ ha intentato causa a Google per la modica cifra di 50 milioni di dollari. Motivo? La sera stessa di un seguitissimo dibattito televisivo in cui Tulsi Gabbard si è distinta nello scontro con gli altri candidati… Google ha chiuso “per errore” l’account AdWords di Tulsi Gabbard, impedendole così di promuovere (a pagamento) le proprie pagine su Google e sui siti che ospitano le pubblicità di Google. Danno non da poco, e adesso toccherà al giudice decidere. Tulsi Gabbard non è l’ultima arrivata, essendo la rappresentante dello stato delle Hawaii al Congresso americano. Ed è anche parecchio incazzata. E non è la sola tra i politici americani, che stanno cercando di fare qualcosa in vista delle importanti elezioni del 2020, prima che la situazione sfugga di mano.
Questo significa sicuramente che nel corso dei prossimi mesi potremmo assistere a un ridimensionamento (almeno così speriamo) dello strapotere mediatico dei vari Google, Facebook, Twitter, instagram, Youtube… forse anche allo smembramento di alcuni di questi colossi che adesso potrebbero dover decidere se dichiararsi delle piattaforme pubbliche o degli editori. Con tutto quello che ne consegue a livello di libertà e responsabilità. Finora hanno giocato a fare i finti scemi prendendo il meglio di due posizioni ormai non più conciliabili né accettabili.
L’ultima tegola su Google arriva da un ex dipendente, tale Zachary Vorhies, un ingegnere di Google che ha reso pubblici gli elenchi dei siti web (alcuni anche molto importanti) banditi e censurati manualmente da Google, perché considerati troppo conservatori. È una storia lunga e complessa, in cui sembrano esserci anche minacce e intimidazioni da parte di Google all’ex dipendente, scambi di email in cui si parla esplicitamente di censura da parte di Google, e molto altro. Alla faccia delle rassicurazioni date da Sundar Pichai, CEO di Google, solo pochi mesi orsono al Congresso americano. Se vi interessa approfondire https://www.projectveritas.com
E noi? Cosa possiamo fare noi piccoli e impotenti utilizzatori di Google e fruitori dei servizi gratuiti dei social media (il gratis non esiste, soprattutto nel mondo di Google e dei social media ricordatevelo, pagate con i vostri dati personali)?
Possiamo intanto usarli di meno, e chi ce la fa addirittura potrebbe chiudere i propri profili social. Si vive bene anche senza, lo sapevate?
Per le ricerche possiamo usare motori di ricerca alternativi, come Qwant.com http://www.qwant.com o Duck.com http://www.duck.com
E poi possiamo cercare di stare meno con gli occhi incollati allo smartphone, o con il culo piantato davanti al computer. E cercare di uscire, di vivere, di interagire direttamente con gli altri, di pensare con la nostra testa, di fare le cose che negli ultimi cinque anni il costante uso ed abuso di internet in tutte le sue forme ci ha impedito di fare.
Vi sembra poco?
ADVERSUS