Che i social media siano stati creati e sviluppati per attirare e tenere prigionieri gli utenti e i loro (quel che ne resta) cervelli, è ormai un dato di fatto, confermato addirittura da chi ha contribuito a crearli link e link, dimostrato da fior di studi scientifici sul fenomeno, che causa dipendenza link e seri problemi psicologici link. Su questo non ci piove, e non spenderemo più parole tanto non serve a nulla ripetere e ripetersi.
Che i social contribuiscano ad aggravare problemi di depressione, ansia sociale e solitudine, è stato altrettanto appurato in maniera inconfutabile. Solleticano il tuo senso di inadeguatezza, dandoti la possibilità di proporti al mondo così come vorresti essere visto, e non come sei realmente.
Però… però anche gli utenti… i ‘follower’, i ‘netizens’… se usassero un po’ più il cervello, se non si piegassero passivamente a tutto quello che gli viene sventolato davanti agli occhi, se avessero un atteggiamento più critico. Magari.
La avete mai vista la faccia di chi sfoglia instagram, facebook o twitter in metropolitana o sul bus? Provate ogni tanto ad alzare gli occhi dal vostro smarthphone e a guardarvi intorno. Una distesa di social-dipendenti, pigiati come sardine, che vanno a lavorare o a scuola, occhi incollati allo schermo e il dito che balla e dispensa like. È quella che io chiamo la ‘faccia da follower’. Che brutta parola. Follower = uno che segue. Come una pecora.
E le foto dei piatti al ristorante… e le foto dei propri piedi in spiaggia… e le foto del c#lo nello specchio del bagno… gli addominali e due muscoletti per i ragazzi (che per fortuna pare siano meno dipendenti dai social rispetto alle signorine) e poi le foto dal finestrino dell’aereo che ci porta in vacanza per far rodere di gelosia chi rimane a casa, quelle con i tacchi vertiginosi e minigonna pelvica per l’uscita con le amiche del sabato sera…
Ma è questa la comunicazione dei social, quella che ha preso il posto dei tradizionali siti web? Siamo arrivati a comunicare a suon di autoscatti di culi, tette, luoghi di vacanza e foto della cena al ristorante? Il tutto in un ambiente – quello dei social – soggetto a controlli e censure di tutti i tipi – soprattutto politiche e ideologiche finora piuttosto unidirezionali, per cui chi li usa ha imparato a limitare progressivamente la propria libertà di espressione, e conseguentemente di pensiero. Tette (con la stellina) e culi vanno bene. Le idee no.
Ne vale la pena? Mettere a disposizione di una manciata di mega corporations americane tutta la nostra vita, i nostri pensieri, le nostre immagini, le cose che ci piacciono e quelle che ci fanno incazzare, i nostri amori, i nostri orientamenti?
Ricordate che questi dati, e moltissimi altri, vengono raccolti, analizzati, conservati.
Per essere usati oggi, domani, dopodomani. O tra dieci anni.
Ne vale la pena? Fate voi.
ADVERSUS