È di qualche giorno fa un bell’articolo pubblicato da CNBC in cui si parla dei test che instagram sta conducendo su diversi mercati mondiali. Il test è essenzialmente questo: nascondere i like ricevuti da un post. Lasciamo perdere la nostra opinione su instagram, che ci porterebbe molto lontano. Idem dicasi per quegli psicolabili che basano la propria autostima sul numero di like che un loro post riceve. Anche questo è un discorso che ci porterebbe molto lontano.
Ricordiamo, per inciso, che instagram è di proprietà di facebook, così come whatsapp. Tanto per capire di chi stiamo parlando e con cosa abbiamo a che fare.
Ora. In un impulso di magnanimità, avendo questi gruppi, queste corporations dalle origini alquanto dubbie (a tal proposito chi ha tempo si legga How The CIA Made Google) a cuore il benessere psicologico della popolazione mondiale, avendo i personaggi che dirigono questi enormi gruppi un obiettivo puramente filantropico, hanno pensato quanto segue. instagram vuole vedere cosa succede se nasconde i like ai post.
Questo perché – è la versione ufficiale del sig. Adam Mosseri, il gran capo di instagram – i like ai post potrebbero generare stress nei poveri utenti. Chiaro fino a questo punto?
Certo, nessuno con un briciolo di cervello si è bevuto la balla, ma nessuno finora aveva approfondito adeguatamente il punto. Lo ha fatto CNBC nell’interessante articolo – linkato più sopra – in cui si parla di questa scelta, delle motivazioni che stanno dietro a questa scelta, e delle conseguenze possibili. Nulla di buono, come era da aspettarsi da instagram/facebook, mark & Co.
Pare che instagram ritenga che il timore di ricevere pochi like possa intimidire molti utilizzatori di questa piattaforma, se non allontanandoli quantomeno rendendoli degli utenti meno assidui di quanto potrebbero essere.
E allora ecco l’idea del test. Nascondere i like, per vedere se questo può incoraggiare i meno assidui postatori a postare di più. Meno pressione (poverini… la pressione dei like che non arrivano… gné gné…) si tradurrebbe in più post. E quindi a tornare più frequentemente su instagram, e così a subire più pubblicità, e continuare ad offrire il fianco alla vendemmia dei loro dati personali e via discorrendo…
Un obiettivo meno filantropico di quanto si potesse pensare.
Instagram ha sempre venduto il niente, diciamocelo. Vende principalmente foto e brevi video di tette e culi, e adesso anche le ‘influencers’ che si sono costruite un seguito esibendo ampie porzioni dell’organo più grande del loro corpo (chiedere ad un dermatologo per la risposta) iniziano a vedere grigio nel loro futuro. Leggi: è finita la pacchia.
E gli inserzionisti che finora hanno inseguito le influencers senza capire bene il perché ma solo perché il loro ufficio marketing diceva di fare così… cosa faranno? Dovranno rivolgersi direttamente a instagram/facebook e pagare la pubblicità che finora avevano comprato direttamente dalle ‘influencers’. Guarda guarda, ancora un punto a favore di instagram che – se le cose vanno come spera – togliendo i likes avrà da una parte aumentato il cosiddetto ‘engagement’ degli utenti e dall’altra spinto i brand a comprare la pubblicità direttamente da instagram…
E le ‘influencers’? Rimarranno fregate. Non solo quelle che hanno creato il proprio ‘successo’ comprando i followers (ah… non lo sapevate che i followers su instagram si possono comprare, così come i like e i commenti? No? Allora fate una ricerca su Google, cercate ad esempio: “buy instagram followers”. Adesso avete capito come molte ‘influencers’ sono diventate tali?).
(A)morale della favola? Se le cose vanno come spera instagram, il successo sarà triplice: aumentare l’engagement degli utenti, chiudere il rubinetto alle influencers, farsi pagare la pubblicità dai brand. Senza contare il fatto che avrà anche un buon ritorno di immagine (che visti gli scandali legati alla compravendita dei dati personali degli utenti non guasta) potendo sostenere di aver fatto tutto questo nell’esclusivo interesse delle masse, che tanto stanno a cuore a queste corporations della Silicon Valley.
E se le cose non andassero come sperano loro? Beh, in questo caso tra un sempre possibile break-up di questi monopoli tecno-social magari imposto dal governo americano (lo hanno già fatto in passato con i monopoli del petrolio e della telefonia, possono sempre rifarlo), la concorrenza di altre piattaforme, la (lo speriamo ma non ci contiamo troppo) crescita intellettuale della popolazione… insomma un possibile crollo è sempre dietro l’angolo. È un attimo. Vero, Myspace?
Speriamo.
ADVERSUS