Chi produce contenuti e magari ricava parte dei propri guadagni dalla cosiddetta ‘monetizzazione’ dei contenuti stessi (leggi: pubblicità) sa bene di cosa stiamo parlando. E forse chi i contenuti li fruisce passivamente sarà interessato a sapere che quello che legge sui social media – ma ormai anche sul web – è pesantemente censurato, direttamente o indirettamente, e che le notizie che lo raggiungono sono nella maggior parte selezionate, scremate, consigliate, valorizzate in base ad una agenda politica che sta divenendo sempre più chiara. Negli stati uniti, ma anche dalle nostre parti.
Tenete bene a mente i punti che elencheremo qui sotto.
Chi guadagna(va) con la pubblicità online deve avere un certo traffico di lettori. Ovvero, gli articoli pubblicati su un sito web devono avere un certo (consistente) numero di lettori, i video visti su YouTube devono avere un certo numero di visualizzazioni, i post su instagram devono avere un certo numero di like e l’autore del post un consistente numero di followers, e via discorrendo. Altrimenti non guadagnano praticamente nulla.
Poco traffico = zero guadagni.
Il traffico verso i siti web arriva(va) principalmente da Google, con le ricerche, e dai post sui social media (facebook ad esempio). I famigerati algoritmi che ormai decidono quello che dobbiamo, possiamo, o non possiamo leggere hanno drasticamente ridotto il traffico verso la maggior parte dei siti web, soprattutto quelli non ‘mainstream’ sono sempre più penalizzati a vantaggio dei media tradizionali, più omologati e più controllabili. Quelli che ricevevano traffico da facebook si sono trovati tempo addietro davanti alla scelta; o adesso iniziate a pagarci o il traffico che vi abbiamo mandato fino a questo momento potete scordarvelo… e infatti molti editori stanno abbandonando facebook (così come molti utenti).
Google (opinione personale dello scrivente) viene utilizzato sempre meno come motore di ricerca per trovare contenuti e informazioni. Quando vedo qualcuno che usa Google vedo che lo fa per metterci il nome di un sito che già conosce e intende visitare, per farsi portare velocemente all’indirizzo desiderato senza doverlo (o saperlo) digitare. Questo ha nel tempo ridotto di molto il traffico (che per generare qualche guadagno deve essere consistente, ricordiamolo) verso la gran parte dei siti che il traffico lo ricevevano da Google.
Ricordiamoci che operare un sito web, a differenza dei social che sono (fintamente) gratis, ha un costo elevato e che senza un guadagno regolare il sito va inesorabilmente in perdita.
Google poi opera una pesante censura sui contenuti che propone nei risultati di ricerca. Privilegia determinate fonti di contenuti, e scarica alla trecentesima pagina altre fonti di contenuti, principalmente quelle alternative. Provate a fare la stessa ricerca – magari su un tema controverso – prima su Google, e poi magari su Duck.com o Yandex.ru e noterete come i risultati siano molto diversi (e più completi sui motori di ricerca che non si chiamano Google). Conclusione: traffico ridotto al lumicino visto che il mondo occidentale intero usa solo Google.
Youtube non solo censura i risultati delle ricerche, non solo privilegia i canali di ‘informazione’ ufficiale, ma in quanto ‘corporation’ o entità privata decide di chiudere quei canali che propongono contenuti alternatici e controversi, non mainstream. Conclusione: quello che vedete su YouTube è il minimo comune denominatore dopo la censura, e quello che non vedete è già stato censurato, o nascosto dai risultati di ricerca e finito nell’oblio. I creatori di contenuti ormai fanno attenzione addirittura alle parole che usano quando parlano nei video, per evitare che il riconoscimento vocale di Youtube individui parole sconvenienti o non approvate e demonetizzi (che brutta parola) il video o- peggio – chiuda il completamente canale. Youtube suggerisce ai creatori di contenuti anche quale è la lunghezza ottimale dei video, e i creatori di video per YouTube si adeguano subito, per non perdere il loro traffico.
Questo vale per tutti i social media, non avete idea di quanto tempo e quante energie spendano i creatori di contenuti nel tentare di capire cosa vogliono instagram, facebook, google, youtube… per creare contenuti adeguati e adatti sperando di ricevere visibilità e quindi traffico. Se ne aveste idea vi passerebbe la voglia di passare così tanto tempo sui social…
Google ha poi (anche) un prodotto che si chiama Google Adsense. È il prodotto che permette a chi pubblica sul web di guadagnare qualcosa attraverso la pubblicità. La censura e il controllo operati attraverso Adsense è per certi versi la più efficace. Con la scusa di proteggere i propri inserzionisti Google Adsense decide dove far apparire e dove non far apparire le proprie pubblicità. Ad esempio, se un sito ha pubblicato un articolo sul tumore al seno può vedersi demonetizzata la pagina che contiene il suddetto articolo per aver pubblicato ‘contenuti per adulti’ perchè l’algoritmo ha individuato che si parla di seno (wooooo…) o perché la foto che correda l’articolo fa vedere parte del seno di una donna coperto da una mano (non importa, lo fanno per proteggere i propri inserzionisti…).
Idem per quanto riguarda articoli a carattere politico o sociale non ‘politically correct’ eccetera eccetera, il tutto nell’interesse della sicurezza, dei lettori e degli inserzionisti. E così cosa succede? Che uno prima di mettersi a scrivere un articolo pensa bene se è il caso di rischiare di essere demonetizzato o meno, e se magari le proprie energie non farebbe meglio a dedicarle ad un articolo dedicato alla cura del pelo del gatto di casa, meno controverso e forse più monetizzabile…
Twitter lo stesso, ammazza profili a destra e a sinistra (più a destra che a sinistra…) sempre nell’interesse della sicurezza, del politically correct e menate varie. E se non ammazza i profili, questo vale per tutti i social, pratica il cosiddetto ‘shadow banning’ e cioè li rende praticamente invisibili, magari anche a chi li segue. Tagliando il traffico, la visibilità, l’efficacia.
E potremmo continuare (davvero, per molte pagine), ma forse non ha senso tanto il punto lo abbiamo chiarito.
Ormai quello che leggiamo e vediamo su internet è censurato, filtrato. Tra il bastone della chiusura dell’account o della demonetizzazione e la carota dei (risicati, ma meno sono e meglio funziona la strategia di controllo) guadagni derivanti dalla pubblicità e dal traffico, è facile capire come ormai l’internet delle libertà con cui avevano preso per il naso il mondo intero all’inizio di questa avventura è morta e sepolta.
Chi produce contenuti e vuole avere visibilità su social e su motori di ricerca deve per forza autocensurarsi, conformarsi alle regole spesso non scritte di questi quattro mega conglomerati con base nella Silicon Valley, chi vuole esprimere liberamente le proprie idee sui social può scordaselo, chi vuole farlo sul proprio sito web può (per il momento ancora), ma può scordarsi di avere un pubblico. Non te lo mandano, punto e basta.
Uno si potrebbe chiedere perchè nessun governo di qua o di là dall’Atlantico, stia facendo qualcosa per proteggere il diritto alla libera espressione del pensiero. Forse, pensa qualcuno, perchè i governi sono in combutta con i principali social media, e traggono anche loro i loro vantaggi da questa situazione. Forse.
A questo aggiungiamoci (scusateci ma è così) la stupidità della gran parte degli utenti, che ormai usano passivamente internet, e si accontentano della pappa premasticata offerta dai social anche in termini di informazione.
ADVERSUS